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Ancona e le Marche nel Cinquecento

 

Con l'inizio del 16° secolo si conclude il difficile e violento periodo durante il quale Cesare Borgia aveva tentato di costituirsi una vasta signoria romagnola - marchigiana. La conseguenza dell'avventura borgiana portò all’affermazione del diretto dominio della Chiesa nelle città e nei territori marchigiani, che, in questo modo, poté allargare sulla regione una effettiva autorità.

Pochi, infatti, furono i nobili della Marca che uscirono indenni dalla bufera borgiana e pochi quelli che - già spodestati da Cesare - poterono recuperare la signoria. Fra questi i Da Varano di Camerino. I Montefeltro di Urbino non riebbero il possedimento: la loro casata si estinse naturalmente nel 1508. Il Ducato urbinate passò così nelle mani dei Della Rovere per fenomeno di nepotismo, essendo parenti del guerresco papa Giulio II.

Ancona, invece, riuscì a schivare le sue minacce anche se non potette sottrarsi interamente alla politica espansionistica del papato che continuava più che mai a premere sulle libertà comunali anconetane e, nel 1510, Giulio II impose ad Ancona di imprimere sulle proprie monete il simbolo delle chiavi pontificie. Questa in realtà era già una spia chiara del fatto che, come poi avvenne, la Santa Sede non intendeva procrastinare all'infinito una Ancona "indipendente" nel proprio seno.

In quanto ai Della Rovere di Urbino, questi aumentarono i territori del ducato prendendosi Senigallia e poi estendendo la loro signoria anche su Pesaro (1513) che, da allora, venne a costituire la "provincia marittima" dello Stato urbinate. Si realizzò così una più ampia unità territoriale e la corte roveresca venne trasferita da Urbino a Pesaro. Francesco Maria Della Rovere fu signore di Pesaro dal 1508 al 1513; poi la città venne assegnata dal nuovo papa Leone X al nipote Lorenzo de' Medici che la governò dal 1516 al 1519. Tornata ai Della Rovere, Pesaro godette di nuovo del buon governo di Francesco Maria che, ottimo capitano, si preoccupò anche di rinforzarne le fortificazioni. "Com'era naturale, quando la potenza di Carlo V divenne egemonica in Italia, i Della Rovere si accodarono alle fortune del padrone del mondo e più tardi alle fortune della Spagna. Soldati di Spagna, grandi di Spagna, con un cospicuo 'piatto' o soldo concesso loro dal re  cattolico i duchi di Pesaro e Urbino furono ... pedine e cardini della politica spagnola nell'Italia centrale".

I rapporti di Ancona col pontificato si erano poi inaspriti per le guerre del Ducato di Urbino tra Francesco Maria Della Rovere e Lorenzo de' Medici, sempre durante il pontificato di Leone. X. "Mentre da una parte gli anconetani venivano duramente travagliati dal Duca d'Urbino, dall'altro fieramente li colpiva il pontefice ritogliendo loro il privilegio della Zecca e facendo occupare dalle sue truppe i castelli di Polverigi e di Agugliano. Accorsero a recuperarli gli anconetani; e affinché il Duca di Urbino molestandoli con le sue truppe non fosse d'ostacolo a compiere l'impresa, spedirono messi a promettergli 12.000 ducati onde lasciasse libero il territorio; e perché non avevano pronta quella somma al momento gli furon dati a mallevadori cinque ostaggi delle principali famiglie. Accordatosi a quel modo il Duca, gli anconetani si ridiedero con tutto l'ardore alla conquista delle due castella tolte loro e dopo non pochi fatti d'arme finalmente riuscirono a scacciarne i pontifici. Di ciò adiratissimo, Leone X andava meditando come riassoggettare al suo dominio la ribelle città ... ma poi morì repentinamente il 1° dicembre 1521". 

Ancona si sarebbe riappacificata con la Chiesa durante il papato del successore di Leone X, Adriano V eletto il 9 gennaio 1522 (ma avrebbe regnato solo un anno), che le restituì il privilegio di coniare monete.

Ma l'episodio culminante dell' allargamento della potestà pontificia sulla Marca fu proprio la occupazione di Ancona nel 1532. Occupazione di forza e di raggiro, nell' ambito della situazione italiana venutasi a creare dopo il Sacco di Roma e l'assedio di Firenze, nell' imporsi massiccio prima delle guerre tra Francia e Impero e poi della dominazione spagnola nella penisola.

Al tempo del Sacco di Roma, Ancona si era mossa a favore del papato e il 18 maggio 1527 pur essendo politicamente neutrale aveva mandato 250 soldati al Vicelegato della Marca perché combattessero in soccorso di Clemente VII che, in quel momento, era ancora prigioniero degli imperiali in Castel Sant'Angelo. Contemporaneamente, la città si era apprestata a difesa, per far fronte ad un eventuale assalto dei Lanzi e, anche se proprio in quel tempo infuriava la peste, aveva dichiarato atti alle armi cittadini e gente del contado dai 14 anni in su.Prima del Sacco, l'inimicizia di Ancona e Clemente VII era già un dato di fatto: "Ardeva allora la guerra in Italia ... tra Carlo V e Francesco I di Francia. Il papa aveva conchiuso col secondo un accordo onde provvedere alla sicurezza dello Stato ecclesiastico e del fiorentino; la onde come per le altre città soggette al suo dominio, così per Ancona ordinò che si adunasse un esercito onde guardarla. Il legato, onde sopperire alle occorrevoli spese, impose al Comuni una straordinaria tassa di guerra. Ancona si pose al fermo di non pagarla. Il legato mandò sue genti sul territorio anconetano per costringere i cittadini ai chiesti pagamenti . Gli anconetani armarono cavalli e fanti per rispondere con la forza alla forza. In quel mentre ... Roma venne presa e saccheggiata barbaramente". L'allarme per un eventuale assalto era ancora in atto ad Ancona nel 1530: la città non poteva certo ignorare che tutta l'Italia era corsa da eserciti stranieri. Bisogna considerare nei particolari la situazione, di Ancona negli anni che vanno dal sacco di Roma alla fine dell'assedio di Firenze (1527-1530). Ancona, pur considerandosi "neutrale" nelle guerre portate dagli imperiali nella penisola, non poteva disinteressarsene totalmente; non si trattava di eserciti andavano troppo per il sottile se una piazza faceva loro comodo e, in definitiva, il "si vis pacem, para bellum" era sempre valido. Il 18 maggio 1527, Ancona aveva acconsentito a spedire 250 soldati al Vicelegato della Marca per un eventuale aiuto a Clemente VII che stava patendo i guai suoi dentro Castel Sant'Angelo. La guerra in casa sarebbe stata una autentica sciagura, dato che già vi infuriava la peste. 

"La Signoria anconitana dava ogni opera alla sicurezza e alla difesa della città. La piazza veniva abbondantemente approvvigionata, le mura e, i forti venivano muniti di copiosa artiglieria, mandavansi soldatesche a Castelfidardo e se ne distribuivano per le terre anconitane e per le castella cittadini, terrazzani, soldati gareggiavano in zelo coi magistrati". I fatti del Sacco di Roma non avevano avuto una precisa conseguenza su Ancona, ma nel 1530 quando Firenze era cinta dal grande assedio. Per il momento, tuttavia, doveva difendersi soprattutto dalle pressioni fiscali pontificie: Clemente VII, che aveva dovuto pagare un riscatto "immenso" agli imperiali , dopo il Sacco di Roma, tanto da vedersi costretto a vendere anche tutta l'argenteria di casa, compreso il piatto nel quale mangiava, pretendeva da Ancona il versamento di quei tributi che la città, "ostinata” nel dirsi indipendente e forte dei "privilegi" che le erano stati concessi nel passato da altri pontefici, non intendeva pagare. E infatti non li pagò. E fu, probabilmente proprio questo a farle perdere le “autonomie repubblicane" per volontà di Clemente VII. Ci sembra che il "Sommario della Storia di Ancona" lo metta esattamente a fuoco: “...richiese le gabelle per pagare i tedeschi. Ma a queste anco ricusaronsi gli anconitani, e mandarono a Roma ambasciatori per supplicare della esenzione. Duro era per certo in quei giorni lo stato della repubblica, seguitando tuttavia la peste che da tre anni la travagliava, e dovendo del continuo spendere in fortificazioni ed in arnesi guerreschi per guardarsi dalle continue scorrerie dei turchi. D'altra parte da maggiori angustie era stretto papa Clemente, non avendo di che pagare le soldatesche venute in suo aiuto, e dalle quali temeva fastidi e sommosse. E però ad evitare qualunque disperato partito del pontefice forse era savio consiglio negli anconitani, che a più dura umiliazione avevano piegato il capo, soccorrere ad ogni costo le pressanti necessità del papa pagando le imposte gabelle: nè forse sarebbe mancato alcun di lui successore che ne li avesse ristorati , minorando la taglia dovuta alla Chiesa, come lo stesso Clemente aveva fatto e tutti gli antecessori suoi. Difficilmente, adunque, può il Senato anconitano liberarsi dalla nota di avarizia e di poca avvedutezza, che furono causa poi di completa ruina". I giudizi degli storici sui fatti anconetani sono assai disparati. Ancona non volle pagare le tasse chieste dal papa e Clemente VII, col dente avvelenato già per centinaia di ragioni, decise di far, pagare alla città l'ennesimo rifiuto. Si dice che "deliberò di prendere la città a tradimento e senza uccisioni". Ma in questo caso la "generosità" del papa "nel non volere ‘uccisioni’ fu determinata solo dallo stato dei fatti: papa CIemente...ordinò a Bernardino Dellabarba che se ne impadronisse (di Ancona). Non era la cosa troppo agevole, inaspriti come erano gli animi dei cittadini contro il papa, vigilanti della loro libertà e molto diligentemente munita la città stessa per le temute invasioni dei turchi. Si ebbe ricorso, adunque, alle astuzie".

La scusa per realizzare il proprio "tradimento" ai danni della libertà di Ancona, fu trovata dal papa Medici in un evento storico di bruciante attualità: Rodi dei Cavalieri Gerosolimitani, dopo un'epica difesa, era caduta nelle mani degli Ottomani. I turchi non erano notoriamente gente da non approfittare di questo per dilagare a far razzie in altri mari (e infatti non ci rinunciarono): in vista di uno sbarco in armi dei turchi nei territori della Chiesa, era opportuno che anche Ancona si fortificasse maggiormente e, soprattutto, "alla moderna", contro le nuove artiglierie ottomane non bastavano mura e rivellini: ci volevano i bastioni.

Ancona, in ogni caso, non si sarebbe dovuta preoccupare delle spese: le fortificazioni sarebbero state pagate dalle casse pontificie dal primo progetto all'ultimo mattone. magistrati di Ancona, lieti di sì generosa offerta, accettarono. Non sospettavano un tradimento, ma forse, non pensavano nemmeno che, per esso, la loro città sarebbe stata dotata di un capolavoro fortificatorio che avrebbe fatto Scuola nei secoli: la Cittadella sangallesca.

Ad Ancona, nel 1532, la "forza" pontificia cancellò completamente la secolare e gloriosa Repubblica Anconetana, allora città del Conero, perse ogni autonomia e fu unita amministrativamente alla Marca, dominio della Chiesa. Nel 16° secolo, una sensibile immigrazione dal contado alla città era prova, in ogni caso, della floridezza dell'approdo anconetano. Probabilmente Clemente VII non tolse ad Ancona la libertà soltanto per "gusto" personale: in realtà è possibile che intendesse fare della città davvero un poderoso baluardo contro i turchi che tutti, non solo il papa, avevano ragione di temere. L'azione fraudolenta del papa su Ancona era stata dunque preceduta dal suo ordine di costruire in città una fortezza particolarmente efficiente (la Cittadella) sul Colle di Santo Spirito, e l'incarico era stato affidato al migliore ingegnere del momento: Antonio il Giovane da Sangallo.

L'occupazione militare di Ancona da parte dei pontifici scattò il 19 settembre 1532: le truppe, al comando del Vicelegato della Marca, monsignor Bernardino Dellabarba, presero possesso della Città, il cui governo venne ceduto al cardinale Benedetto Accolti. Si trattava di un prelato quanto mai spregiudicato e rapace, che nulla aveva da invidiare ai suoi "colleghi borgiani", e che, fino al 1535, dominò Ancona come un despota, distruggendovi metodicamente tutte le, vecchie istituzioni repubblicane e scacciandone in esilio molti elementi di quel patriziato che, in passato, avevano formato il nerbo del governo autonomo. Contro l'Accolti, Ancona tentò una congiura, ma il cardinale la soffocò con la violenza e la morte dei cinque nobili anconetani in essa maggiormente compromessi. I fatti di Ancona del 1532 e anni seguenti sono riferiti con particolare veemenza dalle cronache del tempo e dagli scrittori che ad esse si rifecero.

 

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